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Il 14 settembre 2015 alle 10:50, ora italiana, i due rivelatori dell’osservatorio LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), siti a Livingston, Louisiana e a Hanford, Washington, hanno catturato simultaneamente (a meno di 7 msec) un segnale transitorio generato da un’onda gravitazionale.

Un segnale oscillatorio di durata inferiore al secondo e frequenza crescente da 35 a 250 Hz, la cui forma d’onda rispecchiava quella predetta dalla teoria della relatività generale per la fase di avvicinamento a spirale e successivo collasso di due buchi neri in un singolo buco nero.

La certezza dell’osservazione è praticamente assoluta. Con i parametri strumentali in gioco un falso allarme potrebbe verificarsi ogni 203.000 anni. La sorgente dell’evento, a distanza di 410 Mpc (Megaparsec), corrisponde ad uno slittamento verso il rosso Z=0,09. Prima del collasso, le masse dei buchi neri in avvicinamento erano pari rispettivamente a 36 e a 29 masse solari, mentre il singolo buco nero, risultante dal collasso aveva massa solare pari a 62. La differenza di 3 masse solari si era, quindi, convertita in radiazione gravitazionale.

Ma a quale distanza da noi è stato rilevato tutto ciò?

Ad una distanza difficile anche solo da immaginare. I buchi neri origine dell’onda gravitazionale sono stati osservati a un miliardo e 337 milioni di anni luce da noi, ossia circa 8500 volte più lontano della Grande Nube di Magellano.

L’esperimento ha dimostrato l’esistenza di sistemi binari di buchi neri e costituisce la prima rivelazione diretta di onde gravitazionali e la prima osservazione della fusione di due buchi neri.

Quanto osservato è stato descritto in un articolo intitolato “Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger” pubblicato l’11 febbraio 2016, su Physical Review Letters, nel centenario dell'articolo di Einstein che predisse, nell'ambito della teoria della Relatività Generale, l'esistenza delle onde gravitazionali, della quale il risultato recentemente ottenuto costituisce la prima ed incontrovertibile conferma sperimentale. E da questa data è stata resa nota al grande pubblico una delle più importanti scoperte del secolo e l’articolo appena menzionato sarà verosimilmente uno dei più citati dalle comunità scientifiche coinvolte nel prossimo futuro. Ne sono autori oltre mille ricercatori di tutto il mondo, appartenenti alle numerose organizzazioni scientifiche internazionali, fra cui spiccano LIGO e VIRGO (quest’ultima una iniziativa italo-francese) impegnate in uno straordinario sforzo congiunto. In questa meravigliosa avventura sono coinvolti anche alcuni gruppi di ricerca dell’Università degli Studi di Salerno, in particolare ingegneri e fisici. Alcuni sono fra gli autori dell’articolo citato, Fausto Acernese, Paolo Addesso, Fabrizio Barone e Rocco Romano, altri, tra cui Francesco Chiadini, Roberto Conte, Maurizio Longo, Stefano Marano, Vincenzo Matta, Fabio Postiglione, sono autori di numerose precedenti pubblicazioni a testimonianza di un percorso di ricerca ormai trentennale. Gli studi del gruppo di ingegneri e fisici dell’Università degli Studi di Salerno sono focalizzati tra le altre cose sulla elaborazione dei segnali e sul perfezionamento delle sospensioni degli specchi in modo da ridurre i movimenti indesiderati. Emozionante l’esperienza diretta e la condivisione a livello internazionale della sperimentazione scientifica, così come testimonia Roberto Conte (ex assegnista di ricerca del DIEM, ora in Finmeccanica). “Nella sala di controllo degli interferometri si danno il cambio ricercatori di tutto il mondo. Si resta ore ad osservare le figure di merito proiettate in tempo reale sul grande muro del laboratorio con al centro, più grande di tutte, la regina, la densità spettrale; si resta ore ad osservarla respirare intorno a quel fondo di rumore (10-23Hz-1) nel quale si sogna di scovare i misteri dell’universo”.

L’evento del 14 settembre segna l’inizio dell’era della gravitoastronomia: la nuova scienza che ci permetterà di guardare sempre più in là nello spazio-tempo risalendo, dall’osservazione di un’onda gravitazionale, alle sorgenti e agli eventi remoti che le hanno dato origine.

Infatti oltre alle masse stellari coalescenti, si prospettano altre fonti di onde gravitazionali, sia di tipo transitorio, come esplosioni di supernove e formazioni di galassie, sia di tipo continuo, come pulsar o come un fondo cosmico di radiazione gravitazionale, residuo del Big Bang. Nella versione "full-sky", la rivelazione richiede inoltre l'osservazione contemporanea di tutte le possibili direzioni della sfera celeste. In questa sfida è decisivo, accanto all’ulteriore perfezionamento degli strumenti di rivelazione dei segnali, la capacità di elaborare la crescente mole di dati che si renderà disponibile. I ricercatori dell’Ateneo salernitano, nell’ambito della LSC (LIGO Scientific Collaboration) lavorano attualmente a tecniche innovative di elaborazione del segnale basate sulla teoria matematica delle rappresentazioni tempo/frequenza sparse nonché a metodi basati sulla risonanza stocastica particolarmente adatti alla rivelazione di segnali gravitazionali periodici. Lo scopo principale è quello di costruire immagini sempre più “affilate” dell’onda, e migliorare così l’esegesi (cioè la classificazione della fonte e l’apprezzamento della dinamica) del fenomeno gravitazionale.

Abbiamo dunque aggiunto un tassello importante al sempre più affascinante mistero della nascita dell’universo?

Concept idea, elaborazione e adattamento dei testi a cura di
Vittoria Marino - Delegato alla Comunicazione UNISA

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ROMANO Rocco

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MARANO Stefano
MATTA Vincenzo
POSTIGLIONE Fabio

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CHIADINI FRANCESCO

Dipartimento di Ingegneria Industriale



BARONE Fabrizio

Dipartimento di Medicina e Chirurgia



CONTE Roberto

Finmeccanica






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