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SDG 6: Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie

[A cura di Alessandro Sellitto]

L’acqua rappresenta un elemento imprescindibile per la vita di qualsiasi essere vivente, animale, umano o vegetale che sia. Essa copre circa il 70% della superficie terrestre ma, degli oltre 1300 miliardi di chilometri cubi di acqua presenti sul Pianeta, meno dell’1% è destinato al consumo umano.

Come tutte le risorse naturali, tuttavia, anch’essa è presente in natura in quantità scarsa e ciò giustifica, in un certo senso, la “lotta all’oro blu”, innescatasi in tempi recenti a livello globale. Secondo l’ultimo rapporto ONU sullo sviluppo delle risorse idriche, circa 4 miliardi di persone nel mondo vivono già in condizioni di grave carenza di acqua per almeno un mese all’anno e il dato potrebbe salire a 5,7 miliardi entro il 2050. Il volume di acqua consumata è aumentato di 6 volte negli ultimi 100 anni e continua a crescere in misura preoccupante a un tasso di circa l’1% annuo, per via dell’aumento della popolazione e di modelli di produzione e consumo poco attenti alla sostenibilità ambientale. L’inquinamento delle acque e la mancanza di adeguate infrastrutture di distribuzione contribuiscono ad acuire i problemi legati alla gestione dell’acqua. Peraltro, la pandemia di Covid-19 ha solamente accentuato il problema della qualità dell’acqua, necessaria a garantire le condizioni igienico-sanitarie minime e a contenere la diffusione di malattie infettive. Infatti, un essere umano su quattro non ha accesso a fonti d’acqua sicure, mentre più di un terzo della popolazione mondiale vive senza servizi igienico sanitari di base. Una vera e propria emergenza globale, che provoca ogni anno oltre 840 mila vittime per malattie causate dall’uso di acqua sporca o contaminata, tra cui 340 mila bambini sotto i 5 anni, per una media di oltre 1.000 vittime al giorno. La situazione è particolarmente drammatica nei Paesi in Via di Sviluppo dell’Africa, del Sud-est asiatico e dell’America Latina, dove le guerre, le catastrofi naturali e il devastante impatto dei cambiamenti climatici hanno drasticamente ridotto le scorte di questo prezioso bene primario. Un dramma che vivono anche le nazioni industrializzate, dove l’eccessivo consumo – e spreco – di acqua ha costretto alcune grandi metropoli, tra cui Città del Capo, San Paolo, Jakarta, Città del Messico, Londra e Roma, a pianificare il razionamento periodico dell’erogazione di acqua corrente. Secondo il World Resources Institute (WRI), un’organizzazione non profit che si occupa di misurare le risorse naturali globali, al momento sono 17 i Paesi nel mondo che rischiano di terminare completamente le proprie risorse idriche, in particolare quelle contenute nelle falde acquifere sotterranee. Le ragioni che hanno condotto alla crisi idrica mondiale sono diverse ma sono tutte, in buona parte, ascrivibile all’attività dell’uomo: incremento demografico sproporzionato, surriscaldamento globale (che determina lunghi e frequenti periodi di siccità, lo scioglimento dei ghiacciai e una più rapida evaporazione dell’acqua presente in bacini idrici superficiali), inquinamento, cattive abitudini alimentari (legate principalmente alla diffusione di allevamenti intensivi, in cui si impiegano quotidianamente elevati volumi d’acqua per il sostentamento del bestiame).

Dunque, sempre più spesso violenti fenomeni atmosferici contribuiscono a modificare la geografia del Pianeta, influenzando la stabilità di sistemi economici e produttivi (in particolare, quelli legati all’agricoltura) e costringendo alla fuga intere popolazione: i profughi climatici, nel 2017, si sono attestati a 18,8 milioni. Negli ultimi vent’anni, poi, inondazioni e siccità hanno mietuto 166 mila vittime e causato danni per quasi 700 miliardi di dollari. Dati allarmanti che richiedono un immediato cambio di rotta al fine di scongiurare l’esaurimento del prezioso oro blu.

Pubblicato il 16 Luglio 2021

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