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La prima radiografia muonica di Stromboli



Realizzata la prima radiografia muonica del vulcano di Stromboli.

Per la prima volta è stata realizzata una muografia del vulcano Stromboli, frutto della collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), le Università di Salerno, di Napoli, di Padova, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), l’Earthquake Research Institute di Tokyo (Giappone) e il Joint Institute for Nuclear Research di Dubna (Russia).

La muografia o radiografia muonica è una tecnica che utilizza i muoni, particelle che vengono prodotte quando i raggi cosmici provenienti dallo spazio interagiscono con l’atmosfera terrestre, per ricostruire un’immagine della struttura interna di un oggetto.

I risultati della prima radiografia muonica del vulcano Stromboli, pubblicati nel mese di Aprile 2019 sulla rivista internazionale Scientific Reports di Nature, hanno rivelato la presenza di una zona a bassa densità nell’area sommitale del vulcano. Questa zona corrisponde a una struttura di collasso formatasi nell’area dei crateri durante l’eruzione effusiva del 2007 e successivamente riempita da materiale piroclastico incoerente prodotto dall’attività esplosiva stromboliana. Questa struttura, che ha condizionato lo stile eruttivo del vulcano dopo l’eruzione del 2007, presenta una densità di oltre il 30% inferiore rispetto al resto del substrato roccioso.

Il risultato ottenuto servirà a comprendere meglio i processi eruttivi stromboliani.

La tecnica della radiografia muonica utilizza i muoni e si basa su un principio simile a quello delle radiografie che utilizzano raggi X, ma rispetto a questa presenta il vantaggio di poter essere impiegata per investigare oggetti molto più grandi, come i vulcani, appunto, perché i muoni hanno una capacità di penetrazione nella materia molto maggiore rispetto ai raggi X. Essi sono prodotti dall’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera. Alcuni hanno energie tali da poter attraversare spessori di centinaia di metri di roccia. La frazione di muoni sopravvissuti da ciascuna direzione dipende dalla densità e dallo spessore del materiale attraversato. In tal modo è possibile formare un’immagine dell’interno dell’edificio vulcanico.

Il rivelatore utilizzato è costituito da 320 film di emulsioni nucleari, speciali lastre fotografiche che consentono di “fotografare” con grande precisione il passaggio delle particelle che le attraversano. La superficie del rivelatore utilizzata è di circa un metro quadrato. Il rivelatore è stato posizionato nel sito Le Roccette, a 640 metri di quota e ha raccolto per circa 5 mesi le tracce dei muoni che hanno attraversato il vulcano.

La ricerca è stata possibile grazie ai sistemi automatici di lettura delle emulsioni nucleari, tra i quali quelli che il Gruppo di Emulsioni Nucleari dell’Università di Salerno aveva precedentemente sviluppato per studiare i neutrini nell’esperimento OPERA, ed adottati anche in Giappone.

"Durante i mesi dell’esposizione, le emulsioni raccolgono milioni di tracce di muoni, e per avere una buona sensibilità è necessario essere capaci di leggere ed analizzare volumi di dati di diversi TB, naturalmente in maniera automatica.” - spiega Cristiano Bozza del Dipartimento di Fisica dell’Università di Salerno, che si è occupato della realizzazione dei microscopi automatici e dell’analisi dati - “In questo caso possiamo toccare con mano come da una tecnologia nata per la ricerca pura possono aversi in tempi brevi ricadute su campi applicativi come il monitoraggio dei vulcani e la valutazione dei rischi di eruzioni e tsunami".

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