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IL PROBLEMA DEL MALE NELLE LETTURE ETICO-POLITICHE DELL'OPERA DI FRANZ KAFKA

La ricerca analizzerà le modalità attraverso cui il pensiero etico-politico contemporaneo ha discusso il tema del rapporto tra finitezza, tecnica e rappresentazione del negativo, con particolare attenzione ai luoghi in cui alcuni voci filosofiche, rivolgendosi all'opera di Kafka, si sono interrogate sui modi in cui la formulazione di tale relazione coinvolge e rilancia una complessiva interrogazione sull'umano. In base all'indagine complessiva delle principali elaborazioni novecentesche della relazione - sotto l'egida del tema dell'agire tecnico - tra finitezza e "negativo", si mirerà a enuncleare gli elementi teorici in base ai quali, attraverso il commento all'opera dello scrittore praghese, è stato approfondito il rapporto concettuale tra i due termini.A partire dall'analisi della prospettiva interpretativa di Georges Bataille e di Maurice Blanchot, nonché dalla ricognizione dei principali materiali critici proposti tra gli anni Cinquanta e Settanta a proposito della produzione di Kafka, la ricerca si soffermerà sulle proposte teoriche elaborate da Walter Benjamin e da Theodor W. Adorno, indagando la particolare lettura etico-politica da essi proposta dei romanzi e dei racconti kafkiani. Il lavoro si rivolgerà infine agli apporti che Gilles Deleuze e Felix Guattari hanno offerto alla rielaborazione della questione in oggetto, con particolare riferimento al problema della critica della soggettività coscienziale e alla considerazione di una “esteriorità” che imporrebbe una riconfigurazione complessiva dell'immagine stessa dell'uomo e delle sue possibilità storiche. Tre nuclei tematici teoreticamente omogenei, tutti provvisti di una significativa innovatività ermeneutica, possono essere elencati come scansioni complessive della ricerca: 1) la ridefinizione dell'orizzonte pratico-morale contemporaneo a partire dalla precisazione dei termini di una etica della vita finita 2) le idee di irriducibilità del male e di singolarità del desiderio 3) la possibilità di una declinazione autenticamente “universalistica” e non identitaria del tema della finitezza.