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NUOVE PROSPETTIVE DELLA RAPPRESENTANZA SINDACALE DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 231/2013

La pronuncia della Corte Costituzionale del 23 luglio 2013 n. 231 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 “nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti, quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”. La richiesta di una pronuncia della Consulta trova il presupposto nella contraddizione, riscontrata dal giudice a quo, tra l’obiettivo del referendum del 1995, allargare le maglie del criterio della maggiore rappresentatività, e la formulazione dell’art 19 dello statuto che subordina il godimento dei diritti di cui al Titolo III dello Statuto al dato meramente formale della sottoscrizione del contratto collettivo e non anche alla partecipazione alle trattative. Ma, come sostenuto da parte della dottrina e della giurisprudenza, la partecipazione al negoziato è un dato che evidenzia l’effettiva forza contrattuale e la capacità rappresentativa del sindacato, mentre la mera sottoscrizione dell’accordo si palesa come un elemento che può essere rimesso alla valutazione del datore di lavoro. Invero nel momento in cui l’art. 19 dello Statuto viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro rappresentatività e, per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo, sì da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative, il criterio della sottoscrizione dell’accordo applicato in azienda viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3 e 39 Cost. Innanzitutto risulta violato l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della irragionevolezza intrinseca di quel criterio, e della disparità di trattamento che è suscettibile di ingenerare tra sindacati. Questi ultimi infatti nell’esercizio della loro funzione di autotutela dell’interesse collettivo sarebbero privilegiati o discriminati sulla base non già del rapporto con i lavoratori, che rimanda al dato oggettivo della loro rappresentatività e, quindi, giustifica la stessa partecipazione alla trattativa, bensì del rapporto con l’azienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente diavere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa. Osserva infatti il giudice a quo che “l’art. 19 attribuisce al datore di lavoro un eccessivo potere” perché, in ipotesi estrema, laddove la parte datoriale decidesse di non firmare alcun contratto collettivo, nessun sindacato potrebbe godere dei diritti di cui al Titolo III. Da un punto di vista giuridico la sentenza della Consulta ristabilisce certezza nella disciplina della materia della rappresentatività sindacale e auspica l’intervento del legislatore per riformare il dato testuale dell’articolo e definire con precisione i tratti ancora poco chiari e garantire la sicurezza nella definizione dei soggetti legittimati alla costituzione di RSA e ad esercitare i diritti connessi.

StrutturaDipartimento di Scienze Giuridiche (Scuola di Giurisprudenza)
Tipo di finanziamentoFondi dell'ateneo
FinanziatoriUniversità  degli Studi di SALERNO
Importo2.102,00 euro
Periodo11 Dicembre 2013 - 11 Dicembre 2015
Gruppo di RicercaVACCARO Maria Jose' (Coordinatore Progetto)
CAPECE Marco (Ricercatore)
IOELE Lorenzo (Ricercatore)