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RINASCIMENTO EUROPEO. LA MODERNIT DELL'ITALIA DENTRO ED OLTRE L'EUROPA MODERNA

Ma il Rinascimento investì, a nostro giudizio, qualcosa di più che una conoscenza scientifica. Esso incarnò tutte le aspirazioni ad appagare la tendenza dell’uomo moderno a definire la propria posizione nel cosmo conosciuto, attingendo in questo modo dalle sue conoscenze passate (il mito dell’antico) i gradi supremi della bellezza, dell’armonia, delle forme date e definibili nell’arte e nella stessa storia trascorsa e presente. Dire che l’Italia sia stata l’interprete maestra di quelle aspirazioni è cosa molto nota. Anzi, a maggior ragione si potrebbe dire dell’Italia quanto Michelet espresse per la sua patria: «[...]Alors elle a donné son âme, et c’est de quoi vous vivez» Sulla base delle parole del Michelet, si assume ad oggetto della nostra ricerca l’esplorazione di alcune realtà europee, quali la Rumania, la cui storia si fonda, miticamente, sulla deportazione di un ceppo sociale composto da ladri e criminali fatta eseguire in massa dall’imperatore Traiano nelle inospitali terre della Dacia. Eppure proprio sul mito delle origini di questa civitas europea, ciò non ci sembra un caso, si era espresso l’umanista Enea Silvio Piccolomini, il futuro papa Pio II (1458-1464), il quale fa discendere i Rumeni da Flaccus, personaggio delle eligie ovidiane Ex Ponto, collegandola, se pur larvatamente, alle origini del mondo Mediterraneo. Interessante traccia, questa, offertaci dal Piccolomini, che ci consente di riprendere e riesaminare, ora con nuovi documenti d’archivio, l’articolazione degli sviluppi storici che la Rumania ebbe per effetto della presenza dei Genovesi e dei Veneziani in quelle terre a partire dall’ultimo secolo del Medioevo; senza dimenticare che con Genova e Venezia, poi, anche il Papa ed il Re di Napoli, in lotta contro il Turco, ebbero contatti non insignificanti con la Moldavia, il cui voivoda o principe Stefano «Musciat» il Grande (1455-1504), nipote di Alessandro I, debellatore dei Valacchi e Ungheresi, Polacchi e Turchi, fu chiamato da Sisto IV: «[…] atleta della cristianità» ed indicibile «umanista», aggiungiamo noi. La ricerca che s’intende condurre, dunque, anche attraverso l’esplorazione degli archivi rumeni, vuole comprendere, sotto l’aspetto storico, quando e attraverso quali canali giunsero i primi rudimenti di cultura umanistica sulle rive del Danubbio e, dunque, quale fu il contributo di civiltà dato al principato di Stefano il Grande dal Rinascimento. In questa prospettiva vanno rilette le numerose lettere, molte ancora inedite, del gran cancelliere rumeno Jan Zamojski, tra gli umanisti più attenti e fervidi del suo tempo, il quale aveva studiato a Padova, portando in patria lo spirito più largo del vivere italiano; egli, inoltre, sarà l’anello di congiunzione fra l’Italia e la Rumania. Ulteriore attenzione si vorrebbe dedicare all’ambiente che va oltre il Kattegat, ossia quel braccio di mare che congiunge il Mar Baltico con il Mar del Nord; area geografia questa in cui, come sappiamo, l’Umanesimo non operò alcuno stimolo idoneo a cambiare le visuali di vita di quella civiltà. I primi contatti tra l’Italia e la Danimarca risalgono all’incira al secolo XII, al tempo di re Erik I, il quale in un pellegrinaggio fondò in Lucca un ospizio per romei scandinavi. Ma per la nostra ricerca dobbiamo assumere ad oggetto d’indagine la documentazione storica a partire da re Erik VII (trattato di Calmar del 1397) fino al 1814. In questo lasso di tempo la Danimarca, ciò è noto, rimase unita alla Norvegia; pertanto, con il tempo, decaduto dalla dignità di lingua ufficiale il norvegese, il posto venne assunto dal danese, che ebbe una traduzione della Bibbia nel 1550. A partire dal 1400 apparvero nei conventi libri di devozione e alcuni calendari ne...

StrutturaDipartimento di Studi Umanistici/DIPSUM
Tipo di finanziamentoFondi dell'ateneo
FinanziatoriUniversità  degli Studi di SALERNO
Importo1.750,00 euro
Periodo7 Novembre 2014 - 27 Gennaio 2017
Gruppo di RicercaTORTORA Alfonso (Coordinatore Progetto)