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IL CONVITATO DI PIETRA O LA NASCITA DEL CAPITALISMO

Il mito di don Giovanni attraversa più volte l'Italia, e sin dalle sue fasi sorgive. La circostanza che «El burlador de Sevilla», opera attribuita a Tirso de Molina (e dalla stampa del 1630 a Lope de Vega), ma molto più probabilmente scritta dal capocomico Andrés de Claromonte, sia stata rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1625 (e poi replicata l'anno successivo), prim'ancora dunque di approdare nella penisola iberica, non sembra essere un caso, certificato fra l'altro dalla permanenza nella città campana della compagnia di Andrés de Claromonte. Per troppo tempo si è favoleggiato su un'origine del tema nell'ambito della commedia dell'arte, ma i quattro canovacci che sono giunti fino a noi risultano tutti successivi, a partire dal più noto (sebbene di esso vi sia solo una traduzione francese), «Il festino di pietra» di Domenico Biancolelli. La questione sembrerebbe provenire da lontano, se una famiglia Tenorio (come suona il nome gentilizio del giovane scapestrato dell'opera attribuita a Tirso) era per davvero diffusa fra Napoli e Siviglia all'epoca di Alfonso XI. La tematica, insomma, sembrerebbe saldarsi da sùbito, se risale per davvero alla cultura aragonese, con le prime fasi dello sviluppo di un'entità statuale basata essenzialmente sulle logiche del mercato. Se l'ombra di don Giovanni si stende nei primi processi economici alla base della nascita del Capitalismo, non stupisce dunque che il mito, per quanto abbia radici profonde e persino avvolte nel mistero (l'invito beffardo al morto e la sua comparizione al banchetto, secondo Battaglia, si ritrova in un gran numero di storie popolari dell'area indoeuropea), dovesse attendere l'epoca barocca per rivelare con forza il suo carattere sociale. Carattere quest'ultimo che è alla base della lenta trasformazione della figura don Giovanni, che da giovane nobile arrogante e dedito a una vita di bravate diverrà progressivamente un campione (fino al sacrificio) del libero pensiero, se non da ultimo il rappresentante della nobiltà al suo tramonto, incapace di adeguarsi alle nuove regole di produttività (borghese). La ricerca si soffermerà dunque sulle prime incarnazioni del mito, e dunque dal 1625 della messa in scena napoletana al 1787 del debutto del «dramma giocoso» di Mozart/Da Ponte, passando attraverso il 1652 del «Convitato di Pietra» di Giliberto, il 1659 de «Le festin de pierre» di Dorimon, il 1660 dell'opera con lo stesso titolodi Jean de Villiers, il 1665 del «Dom Juan» di Molière (l'unica opera del grande commediografo francese a essere ritirata dopo pochi giorni di rappresentazioni, per non essere mai più portata in scena), il 1669 dell'«Empio punito» di Alessandro Melani (prima opera musicale dedicata al personaggio), il 1690 de «Il convitato di pietra» di Andrea Perrucci, il 1736 del «Don Giovanni Tenorio, o sia il Dissoluto» di Goldoni e, infine, prima di Mozart, il 1786 dell'opera buffa di Giuseppe Gazzaniga. Ma a guidare la ricerca, oltre alle fonti primarie qui citate, vi sarà innanzi tutto l'opera di ricostruzione di quel periodo cruciale di cui si è fatto carico Michel Foucault in tre fondamentali corsi al Collège de France: «Il faut défendre la société» (1976), «Sécurité, Territoire, Population» (1977-1978) e «Naissance de la biopolitique» (1978-1979). Le spinte constrastive del capitalismo, quella libertaria e desiderante (don Juan) e l'altra conservatrice e statalista (il commendatore di pietra), finiranno con l'emergere pienamente fra le pieghe del mito.

StrutturaDipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale/DISPAC
Tipo di finanziamentoFondi dell'ateneo
FinanziatoriUniversità  degli Studi di SALERNO
Importo1.391,00 euro
Periodo28 Luglio 2015 - 28 Luglio 2017
Gruppo di RicercaFRASCA Gabriele (Coordinatore Progetto)