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ÉLITES "TRASVERSALI": IL POTERE DEL CETO POPOLARE IN ETÀ MODERNA

Per l’età moderna, è nota la conflittualità tra la nobiltà e il cosiddetto “ceto civile” nel campo della partecipazione alla vita politica ed economica delle comunità urbane, soprattutto in quei luoghi dove il patriziato godeva di seggi chiusi, che a partire dalla seconda metà del Cinquecento andranno strutturandosi rigidamente al proprio interno, rivendicando lo “ius aggregandi” e tentando la monopolizzazione delle principali cariche pubbliche e delle più allettanti attività finanziarie. La riserva di molti uffici pubblici nei governi cittadini darà luogo a processi di massiccia “aristocratizzazione” degli spazi materiali e immateriali delle realtà urbane. Ciò scatenerà la reazione del ceto popolare che cercherà di ostacolare lo strapotere dei nobili nelle amministrazioni civiche e di rivendicare un proprio ruolo politico ed economico. Ma all’interno della compagine dei “populares” si assiste ad un ulteriore processo di differenziazione ed esclusione,perché è la componente del cosiddetto “ceto civile” ad emergere e a marcare la separazione dalla restante parte del popolo. I “civiles” finiscono per perseguire una più formale organizzazione “corporativa”, proprio sul modello dei seggi della nobiltà, dando origine a vere e proprie “piazze” popolari, ossia ad aggregazioni di ceto disciplinate da regolamenti inerenti ai sistemi di cooptazione all’interno del consesso e ai criteri di rappresentanza negli organismi di governo. Lungo questa linea, i “viventes more nobilium” cercheranno in modo sempre più esplicito di discriminare gli esercenti arti meccaniche, tacciandoli di inadeguatezza culturale e di mancata indipendenza di giudizio ed azione, perché facilmente esposti alle pressioni della nobiltà. Gli stili di vita e le strategie della nobiltà attraggono quei lignaggi popolari che risultano in ascesa per titoli dottorali, attività economico-finanziarie e partecipazione politica, tanto che l’aspirazionealla nobilitazione è uno dei tratti prevalenti nelle vicende di queste famiglie, che d’altro canto modellano le proprie abitudini, le proprie scelte patrimoniali e le proprie strategie familiari agli esempi offerti dall’universo aristocratico. Ciò darà luogo al delinearsi di uno strato elevato tra i popolari, i cosiddetti “nobiliter viventes”, che tenderanno ad imitare i costumi dell’aristocrazia. I loro comportamenti e le loro scelte familiari saranno orientate alla conservazione del patrimonio (mediante il maggiorascato, il fidecommesso e l’istituzione di “Monti” di famiglia); al consolidamento del casato (attraverso idonee alleanze matrimoniali, destinazione dei figli cadetti alla milizia o alla carriera ecclesiastica, allocazione delle figlie femmine presso i più ricchi e potenti monasteri cittadini); al dominio degli spazi sacri (mediante il possesso di cappelle gentilizie e di giuspatronato, la promozione di devozioni e pratiche cultuali, il sostegno ad entireligiosi ed assistenziali); al mantenimento di prestigiose dimore, simbolo dello “status” raggiunto. Si assiste all’affermazione di stili di vita che accomunano trasversalmente le élites, strategie familiari-patrimoniali che quindi riguardano i ceti dirigenti, a prescindere dalla specifica appartenenza cetuale e dalla distinzione tra nobiles e populares, i quali – tra l’altro – sono assimilati anche dalle attitudini economico-finanziarie, per le quali la linea di demarcazione tra le attività e gli investimenti del ceto civile e quelli praticati dal patriziato nobile è davvero sottile. Non dimentichiamo che anche i patriziati urbani erano soliti basare i propri introiti su finanza, arrendamenti, affitti, mercatura, prestiti, proprio come i populares situati ai vertici della società.

StrutturaDipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione/DISUFF
Tipo di finanziamentoFondi dell'ateneo
FinanziatoriUniversità  degli Studi di SALERNO
Importo1.600,00 euro
Periodo29 Luglio 2016 - 20 Settembre 2018
Gruppo di RicercaNOTO Maria Anna (Coordinatore Progetto)