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L'INFLUSSO JOYCIANO SULL'OPERA DI THOMAS PYNCHON
Se qualcosa accomuna le strategie narrative degli scrittori che hanno posto il loro punto di partenza nell’officina joyciana, è l’oscura sensazione di fallimento della «apoteosi della parola» (Beckett) rappresentata dal «Finnegans Wake», a fronte di quanto di distruttivo e traumatico appariva allogato stabilmente, a guerra conclusa, nelle modalità della trasmissione del sapere, e nella funzione stessa della letteratura. Le lingue degli scrittori postjoyciani, ciascuna a suo modo impegnata a far tramontare la «forma nominalistica e pertanto paradossale “par excellence”» del romanzo borghese» (Adorno), sono per partito preso parziali, malinconiche, ricostruite, ma in vario modo performabili. Certo: è con difficoltà che riusciamo a definire le opere di questi autori «romanzi», ma ciò si deve al fatto che si continua per convenzione a dare a tale termine (dall’etimo sfacciatamente orale, al pari del corrispettivo inglese «novel») un’accezione tipografica, e in quanto tale ascrivibile a una tipologia della cultura ampiamente tramontata,e a un’etichetta merceologica tra non molto consegnata al modernariato. Alla pronuntiatio necessaria a che il «Finnegans Wake» riveli la pienezza del proprio senso «radiofonico», il procedimento in levare delle estetiche postjoyciane tende invece non già a tracciare i segni della pronunciabilità ma a intagliare una dicibilità piena, che inserisca nell’opera il lettore stesso come esecutore. Se già nell’opera di Joyce è facile reperire tecniche sottratte ad altri e più pervasivi media (stampa periodica e cinema per lo «Ulysses», e poi naturalmente la tempesta magnetica del «Finnegans Wake»), non potrà certo stupire il dato che nella lingua degli autori postjoyciani trascorra una corrente decisamente «audiotattile» (McLuhan) fortemente connessa alla diffusione capillare dei mezzi di comunicazione di massa. Basti pensare per l’appunto allo sperimentalismo multimediale di Beckett, o agl’imparlabili «parlati» di Salinger e Burgess, o al rimuginio psicopatologico di Nabokov, o alle strutture dichiaratamente televisive di Pynchon, o infine al gorgo post-tipografico di Arno Schmidt; oppure, per venire in Italia, alle lingue in vario modo «compromesse» di Gadda, Pizzuto e D’Arrigo. In queste lingue non è tanto in gioco il propagginarsi «dell’io in un suo corpo linguistico, che si governa con sue nuove leggi» (Contini) ma un trauma storico da rendere dicibile nel presente, un epos se si vuole, e dunque una vera e propria «storiografia espressionista».Da questo punto di vista, proposti come sono fuori contesto, sono proprio i procedimenti televisivi adottati da Thomas Pynchon sin dal suo primo romanzo, «V.» (1963), e magnificati poi in «Vineland» (1990), ad apparire particolarmente significativi. Televisivo difatti, da serial televisivo, è senz’altro il metodo, a suo modo tardoariostesco, con cui Pynchon procede da un personaggio all’altro, e da una situazione all’altra, fino a disperdere cioè l’attenzione del lettore fra i mille rivoli di una narrazione apparentemente centrifuga, che torna però prima o poi a bomba sull’origine stessa del trauma, sia la seconda guerra mondiale di «Gravity’s Rainbow» (1975) o una delle sue tante prolessi (si pensi a «Against the Day», del 2006). Il lettore dell’intera opera di Pynchon è dunque chiamato a trarre le estreme conseguenze dalla narrazione seriale, giustapponendo immagini e presenti, in una rilettura docudrammatica della storia in cui si riflette, e si deforma, quella stessa ferita traumatica che in tutte le estetiche postjoyciane»è ancora esattamente l’incubo dal quale tentare, come Stephen nello «Ulysses», vanamente di svegliarsi. Ed è con questa storia che s’è loro appiccicata addosso, per disperderli in ogni angolo del mondo, che i vari Telemaco pynchoniani, persino nel pastiche pseudosettecentesco di «Mason & Dixon» (1997), hanno barattato il bighellonare cittadino dello «Ulysses», o il genealogico sonnambulismo della famigliola fantasmatica di Chapelizod.
Struttura | Dipartimento di Scienze Politiche e della Comunicazione/DISPC | |
Responsabile | FRASCA Gabriele | |
Tipo di finanziamento | Fondi dell'ateneo | |
Finanziatori | Università degli Studi di SALERNO | |
Importo | 1.600,00 euro | |
Periodo | 11 Dicembre 2013 - 11 Dicembre 2015 | |
Gruppo di Ricerca | FRASCA Gabriele (Coordinatore Progetto) |