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PRODUZIONE E DIFFUSIONE DELLE PASTE ALIMENTARI IN ITALIA IN ET MODERNA

Se la primogenitura della pasta fresca è da assegnare, con tutta probabilità, alla Cina, la culla della pastasciutta è certamente l’Italia. Non si tratta ovviamente di stabilire dove sia stata avanzata e sperimentata per la prima volta l’idea di impastare con acqua la farina di grano tenero o la semola di grano duro per giungere, attraverso varie operazioni tecniche, all’artefatto alimentare che definiamo pasta, ma di riconoscere che nella penisola italiana, grazie a fattori storici, a vocazioni territoriali, all’iniziativa di individui e istituzioni collettive, in città e regioni diverse, è stata inventata e perfezionata la pasta, prima come manufatto, poi come prodotto industriale di successo nel contesto domestico e in quello internazionale.L’urbanizzazione precoce - l’Italia è terra delle cento città prima del Medioevo -, insieme alla possibilità di approvvigionarsi nell’intero bacino del Mediterraneo e in un vasto hinterland continentale, rendono più ricchi i consumi domestici, in varietà e qualità, alimentando localmente differenti tradizioni, ma anche una civiltà integralmente nuova che è la koinè del Paese, come testimonia la sua cucina, al di là delle varianti regionali. L’Italia è perciò la sola regione del Mediterraneo in cui avviene lo sviluppo concomitante della pasta secca di grano duro e di quella fresca di grano tenero, associate però dal ’400, fatto inedito, in una comune categoria culinaria e alimentare.Ma è con il passaggio dalla fase artigianale a quella manifatturiera fra Cinque e Seicento - in contrappasso con l’asserito declino del Paese - che si compie nella Penisola quella rivoluzione che la promuove ad area leader della pasta, ben prima dell’industrializzazione.Fattori tecnologici, istituzionali, culturali, economici e sociali concorrono a fare di molte zone - Genova e la Liguria, Napoli e la sua regione metropolitana, Palermo e la Sicilia, ma anche le principali aree urbane del Paese -, gli incubatori e i poli di irradiazione di una rivoluzione che è al tempo stesso materiale, sociale, culturale. Il caso di Napoli è significativo: nel ’600 i napoletani diventano quei “mangiamaccheroni” con cui li si rappresenta proverbialmente da allora in poi.Il passaggio del settore della pastificazione dalla fase manifatturiera a quella industriale, di fatto, avviene in Italia senza soluzioni di continuità. La meccanizzazione, cioè l’applicazione di dispositivi meccanici sempre più perfezionati alla fabbricazione della pasta all’interno di officine artigianali in cui l’energia erogatrice è a lungo, nel migliore dei casi, l’energia idraulica, è uno dei segreti del successo commerciale delle paste nazionali fin dal ’600, sul mercato domestico (nelle città della Penisola) come in talune piazze estere (per esempio Parigi).Il rilievo - tutt'ora valido - espresso nel 1958 da Emilio Sereni sull'assenza di una trattazione d’insieme sulle origini e la storia delle paste alimentari in Italia rappresenta la migliore sollecitazione a colmare questa insufficienza scientifica e culturale e a mettere in cantiere un progetto di studi e ricerche sulla storia del settore di respiro nazionale.Last but not least, il progetto presentato è parte di un progetto nazionale portato avanti dal "Centro interuniversitario di studi e ricerche sulla storia delle paste alimentari in Italia", un centro che ha già accordi con diversi Dipartimenti universitari italiani (dal Dipsum di Salerno,capofila,passando per Pavia,Foggia, Genova, Firenze e Palermo)

StrutturaDipartimento di Studi Umanistici/DIPSUM
Tipo di finanziamentoFondi dell'ateneo
FinanziatoriUniversità  degli Studi di SALERNO
Importo1.600,00 euro
Periodo7 Novembre 2014 - 7 Novembre 2016
Gruppo di RicercaD'ATRI Stefano (Coordinatore Progetto)
D'ARIENZO Valdo (Ricercatore)